Buongiorno lettori! Oggi post programmato, nel quale vi parlo di un interessantissimo tour creato dalla Nativi Digitali Edizioni ed in collaborazione con molti altri blog.
Sicuramente vi starete chiedendo: ma se tu non leggi in digitale, perché fai parte di questo blogtour? Ebbene, vi rispondo con la più semplice sincerità: come sapete ho letto anche io ebooks per qualche tempo e se ho smesso non è perché li trovo inutili, ma perché la lettura digitale purtroppo mi da fastidio ed ho, quindi, dovuto smettere. Un po' perché sono quasi totalmente priva di diottrie, un po' perché ho tantissimi libri che attendono sugli scaffali. Come dico sempre, però, non è detta che io non riesca a trovare il modo, prima o poi, di riprendere in mano questo tipo di letture e, inoltre, non mi sembrerebbe giusto privare voi della possibilità di partecipare ad iniziative interessantissime come quella di oggi!
Quindi, bando alle ciance, e scopriamo insieme questa nona tappa del Nativi Digitali on Blogtour!
In cosa consiste il tour?
10 ebook editi dalla casa editrice Nativi Digitali Edizioni faranno il giro di 15 blog nel corso del mese di Ottobre 2015, attraverso contenuti inediti ed originali. E non finisce qua, perché TUTTI GLI EBOOK PARTECIPANTI SARANNO IN OFFERTA AL 50% DAL 1/10/2015 al 15/10/2015. Insomma, ebooks scontati e materiali gratuiti sono il must di questo tour che non potete proprio perdervi!
Tappe:
Data
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Blog Ospite
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Contenuto
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01/10/15
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Peccati di Penna
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"Pietre, Detriti, Macerie" – Spin-off di Fernweh
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02/10/15
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Il bosco dei sogni fantastici
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La storia dietro il Booktrailer di "Valerie Sweets"
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03/10/15
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Il mondo di Sopra
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Intervista a Tristan Garden di "Storie di un Viaggiatore Immortale"
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04/10/15
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Le Recensioni della Libraia
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Celebrity Deathmatch, spin-off di "Anni '90"
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05/10/15
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Uno, nessuno e centomila libri
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Approfondimento sui personaggi di "Il Giardino degli Aranci"
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06/10/15
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Leggendo Romance
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Spin-off I di "Una Vita a Colori"
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07/10/15
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Il Momento di Scrivere
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Intervista a Michael Farner de "Lo Strano Caso"
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08/10/15
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La Fenice Books
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Prequel di "Papà era un Bandito"
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09/10/15
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Libri di Cristallo
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"Era la Mia casa", racconto inedito dell'autore di "Eroi del Silenzio"
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10/10/15
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Cricche Mentali
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"Sarabanda", spin-off di "Anni '90"
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11/10/15
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Fantasticando sui libri
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I Capitolo del seguito di "Storie di un viaggiatore immortale"
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12/10/15
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Il Piacere di Scrivere
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La vera storia dietro a "Valerie Sweets"
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13/10/15
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Delos Books
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Approfondimento sulle Rune di "Il Cuore di Quetzal"
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14/10/15
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Cafè Litteraire da Muriomu
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Approfondimento sui luoghi di "Il Giardino Degli Aranci"
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15/10/15
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Ramingo Blog
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Spin-off II di "Una Vita a Colori"
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Dopo la parte 'burocratica', in cui vi ho mostrato non solo il carinissimo banner, ma anche tutte le tappe che compongono il tour e le sue informazioni, è arrivato il momento di soffermarsi su quello che è il tema madre della mia puntata. Ciò che la casa editrice ha messo a disposizione per me e per voi è un racconto inedito dell'autore del romanzo 'Eroi del silenzio', che, vi ricordo, sarà scontato al 50% fino al 15 Ottobre.
Qui di seguito, apro per voi un riquadro in cui, scorrendo con il mouse, trovate tutto il racconto da poter leggere!
'Era la mia casa' di Andrea de la Guarra
Quell’anno non vendei solo la casa. Con la firma del rogito avevo venduto la radice di molte esistenze. Me ne accorsi col tempo, quando ormai quel mobilio che avevo deciso di portarmi via era già sistemato in un altro contesto.
Avevo ereditato dalla morte di mia madre avvenuta qualche anno prima quei pochi metri in riva al mare.
Ormai anziana, mamma, sopravviveva agli inverni in città, per lo più chiusa in casa ad aspettare che arrivasse la primavera.
Aspettava l’ora di cena, quando noi figli passavamo a salutarla, aspettava il programma pomeridiano alla televisione, aspettava la telefonata del parente lontano, aspettava stanca di un giorno mai passato la sera ed aspettava insonne l’alba che la riconduceva al circolo vizioso delle attese.
Ma con i primi tepori, tutte queste attese si concretizzavano in vista del grande evento: il trasferimento in quel piccolo nido dove il rumore del mare scandiva e profumava di salsedine il tempo.
Come per miracolo li mia madre ritrovava la voglia di uscire, di incontrare le amiche che come streghe di un sabba si ritrovavano con appuntamento tacito al primo di maggio per celebrare l’inizio della stagione che sarebbe durata fino a metà di settembre.
Erano amiche da circa 40 anni, da quando il palazzo era stato costruito.
Si erano ritrovate giovani madri negli anni 70 a condividere giornate di sole e educazione dei bambini in riva al mare. Ognuno con un sua storia, dapprima solida e liscia come le pareti di una candela e come tale si sarebbe sciolta in confidenze sotto il sole al riparo degli ombrelloni in quelle lunghe giornate estive.
Confidenza dopo confidenza, formarono legami solidi e duraturi che avrebbero intrecciato per tutta la vita le une alle altre, come rami di una siepe accostata e che il tempo avrebbe reso un unico profumato recinto.
C’era il nucleo centrale formato dalle proprietarie di casa che trascorrevano tutta l’estate insieme e che di mese in mese si arricchiva delle presenze di quelle famiglie satellite che affittavano la casa per il mese di giugno/luglio/agosto. Erano così abitudinari che come rondini di anno in anno ritornavano al nido abbandonato.
La cerchia stretta era formata da mia madre, dalla Silvana, dalle due sorelle genovesi Lucia e Bibba.
Quando si nominavano tra loro si chiamavano per nome, mentre già nel primo anello di contorno al loro luminoso pianeta , per quanto fosse forte il legame, erano comunque identificate dal cognome: la Signora Salin, La Vegro, La Spina, La Tasca La , Ruffo, La Bongiovanni.
C’era anche un altro gruppo di famiglie che popolavano il condominio in maniera costante e ripetitiva.
Anche loro formavano un pianeta affisso nel cielo estivo, ma chissà per quale ragione, non riuscirono mai ad amalgamarsi in un unico mare, ma anzi formarono un altro fronte altrettanto compatto e staccato . Era il gruppo B. quello meno importante, meno glamour. Almeno le vedevo così. Il gruppo antagonista, quello che da sempre consideravo delle “invidiose”. Le Wanna Be come le avrei definite poi negli anni.
Non che fossero da meno , ma vuoi per caso o per scelta, il gruppo A era composto da donne ricche, belle, bionde, alte e di forte carattere, mentre “le altre” erano bassine, grassocce ed anche un po’ insignificanti se vogliamo dirla tutta. Ero cresciuto in quella casa da che lo ricordassi. Avevo circa sei anni e da maggio a settembre crescevo
libero di correre in spiaggia, tuffarmi in acqua, pescare granchi e bavose, correre nei campi che allora si trovavano a pochi metri dietro il mare, e di girare pressoché in costume da bagno tutto il giorno.
Era il posto della libertà. Passavo dalle giornate ripetitive a scuola, seduto su un banco, infagottato da maglioni e cappotti dove andavo a letto dopo il carosello, a giornate lunghe e piene di luce, dove il tempo scorreva come un fiume impetuoso in totale libertà e la sera potevo scendere nell’androne in compagnia di almeno altri trenta bambini fino alle dieci di sera.
I compagni di scuola non mi mancavano. In realtà anche loro nella mia mente erano un gruppo B. Il gruppo
A era quello delle mie amicizie estive. I figli nudi del sole.
Forse fu proprio a causa di noi bimbi a far incontrare, nascere e crescere l’amicizia tra quelle signore.
Eravamo più di trenta divisi in fasce d’età scaglionate dai 6 ai 10 anni, 10 ai 14 dai 14 ai 18. Alcuni erano anche più grandi ma non interagivano più di tanto con noi ragazzini.
Formavamo, gruppi, bande, partite, giochi . Eravamo i figli degli anni settanta. Molte idee, pochi mezzi, pochi canali televisivi e poche paure verso il prossimo.
In quell’universo biondo e azzurro esistevano anche gli uomini. Per lo più comparivano a sera tarda e durante i fine settimana. Erano figure importanti ma allo stesso tempo di contorno. Li vedevo in tale maniera. Quando apparivano in scena, l’umore delle signore mutava leggermente. Ombre velate calavano su quei visi che altrimenti erano dediti alle risate ed al buonumore. Preoccupazioni e piccole angosce si infiltravano negli sguardi come l’umidità invisibile gonfia gli intonaci. Per fortuna era una quantità di tempo sopportabile quella degli uomini e questo a me non dispiaceva, visto che da sempre, mio padre era la figura rigida del dovere asciutto. Non ricordo dell’epoca un abbraccio od una parola d’incoraggiamento.
Forse avvertiva un’istintiva repulsione. O forse ero io ad avvertirla , dovuta anche al fatto che il suo corpo era ricoperto in maniera esagerata da irsuti peli scuri.
Quella casa fu il teatro di molte esistenze con la particolarità che le storie erano come film televisivi: si interrompevano a settembre per riprendere a maggio dell’anno successivo come se nel frattempo ci fosse stata un’interruzione pubblicitaria. Poi il filo della storia riprendeva come se non fosse mai stata interrotta, con un breve riassunto delle puntate precedenti.
Anno dopo anno, stagione dopo stagione, come in album di fotografie si potevano vedere i segni del tempo sui corpi ed i visi dei condomini.
Con i primi giorni della nuova stagione si riprendevano i discorsi e si studiavano le trasformazioni gli uni negli altri. Impercettibilmente le mamme invecchiavano, i figli crescevano. Anche i padri invecchiavano ma in maniera meno percettibile, ed a volte sparivano dietro impegni di lavoro divenuti sempre più pressanti che spesso avevano il volto di giovani donne più disponibili.
Anche il mondo, molto più velocemente di quanto non lo facessimo noi, si trasformava portando esigenze nuove impensabili fino alla stagione precedente, malattie sconosciute e tecnologie che avrebbero influito in maniera indelebile nel tempo a venire.
Tutto questo passato che avevo vissuto, e che era ancora presente, era ancorato al rito dell’apertura e chiusura della casa. Da maggio a settembre.
Finché lo vivevo non ne sentivo la mancanza, ma anzi, come un valzer dai troppi giri, provavo un sottile senso di stordimento e di soffocamento .
Solo ora, a rogito fatto, come un salmone che deve dare seguito alla specie, risalgo come un bisogno ancestrale la corrente del tempo, scoprendo quanto sono stato formato da quel contesto di libertà e sole.
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Era il 1970, gli spazi tra gli ombrelloni erano ampi e non ti davi disturbo come avviene ora che se giri la sdraio ti ritrovi nel perimetro altrui.
Il mare risultava più lontano di quanto non lo sia adesso ed il bagnasciuga era popolato maggiormente da bambini che da adulti. C’erano le alghe rosse, i pesciolini neri ed i cavallucci marini che cacciavamo in riva al mare con le retine prese dal cartolaio a 500 lire l’una. Le stelle marine erano già delle rarità che valevano 10 punti a chi le trovava.
Dagli aerei pubblicitari con lunghe code a striscione venivano lanciati i buoni regalo dell’Invernizzi tramite de piccoli paracadute di cellophane rosso e righe bianche .
Per recuperarli ci si tuffava in massa nelle onde del mare e si nuotava alla disperata anche fin oltre il confine immaginario del molo che delimitava la zona dove si toccava. A volte si litigava e si piangeva per il premio perso ed a volte qualcuno preso dalla foga di accaparrarsi il volantino migliore, annegava. Imparai a nuotare per aggiudicarmi il buono della mucca carolina gigante. Fu una lotta tra me e Monica, la figlia della Silvana. Per vincere mi sbarazzai dei bracciali gonfiabili , avuti da POLLO TOMMY con l’acquisto di due polli arrosto, che rallentavano le bracciate. Fui più veloce. Fu mio, ed avevo imparato a nuotare.
Tutto questo non esiste più da anni. Non esistono più i costumi fatti all’uncinetto delle ragazze che quando si piegavano facevano i intravedere i primi peli pubici, e non si usano più i costumi super ridotti e comprimenti della Jhon Player Special che usavano ii ragazzi, che regalavano involontarie tanto quanto inaspettate fuoriuscite durante i riposi pomeridiani stesi sulla diga.
Ma al tempo tutto questo esisteva e mai nessuno avrebbe immaginato che un giorno non ci sarebbe più stato, o che per chissà quale malvagio sortilegio potesse esserci un meccanismo di retrocessione culturale quale quello che stiamo subendo da inermi spettatori ora. Mai avremmo pensato che la spirale del tempo anziché allargarsi si sarebbe rinchiusa in un misero cuneo di perbenismo.
Le mamme alternavano capelli lunghi e sciolti con mini gonne alla Mary Quant di giorno ad abiti lunghissimi e colorati per la sera, con acconciature ricercate e vaporose.
Un evento era considerato anche andare a mangiare una semplice pizza nel locale a duecento metri da casa per non parlare di una serata in discoteca, cha ai tempi si chiamavano nightclub e che comportava preparativi di qualche giorno ed argomenti per almeno una settimana a venire .
Le macchine azzardavano colori pastello ed i primi metallizzati facevano luccicare d’invidia gli occhi bramosi degli uomini. La televisione a colori stava facendo le prime apparizioni nell’appartamento dei più fortunati mentre altri si erano dotati di grandi rumorosi apparecchi elettrici da addossare alle finestre che grazie a due oblò intagliati nel vetro filtravano l’aria rendendola leggera e fresca.
Il gruppo A aveva tutto questo. E molto di più. Anche il gruppo B aveva questo e molto di più ma non riuscivano proprio a brillare offuscate dalla spavalderia e d alla bellezza delle signore A.
Mia madre era la più eccentrica. Nata libera come solo una Veneziana può crescere. La più alta, la più irriverente, quella con il sorriso più accattivante, ma anche la più povera tra le ricche.
Qualsiasi cosa mio padre potesse procurarle con sudore e sacrifici non era mai abbastanza, in quanto era sempre meno rispetto alle altre amiche del gruppo A.
Una corsa persa in partenza. La Silvana era la più ricca in assoluto, il faro che radiava la luce del benessere opulento. Consapevole e radiosa di questo, si sforzava in tutto e per tutto per farlo vedere. Incarnava il sogno hollywoodiano di provincia. Bionda platino, lineamenti regolari, seno importante e diamanti alle dita come fossero verruche. Possedeva più anelli che dita, più collane che collo, più orecchini che buchi dove poterli appendere. La sola cosa che le mancava, senza persino rimpiangerla, era la modestia e la discrezione.
Era la migliore amica di mia madre. In un certo qual modo si assomigliavano in un gioco di specchi dove, in alternanza, una era la più saggia, l’altra la più oca, l’una la più bella e l’altra la più divina , una la più ricca, l’altra la più povera.
In due formavano un’ arma micidiale che avrebbe ucciso senza nessuna pietà la miserabile vittima che si fosse messa in condizione di essere presa di mira. Erano cechine provette. Lingue Killer.
Quando nei pomeriggi si posizionavano in assetto di guerra, in riva al mare , con le sdraio rivolte verso il sole tramontante in formazione di tre/quattro era come passare al JACK POINT di Berlino. Tutto lo struscio del bagnasciuga veniva setacciato, studiato, criticato , analizzato e deriso o complimentato senza alcuno sconto o riverenza. Erano bonariamente perfide, amabilmente cattive, disperatamente abbandonate.
Per questo le amavo .
Giocavo con la Monica, la figlia della Silvana, dietro quella trincea di soldati in bikini mi sentivo protetto da ogni cosa. Capivo tutto nonostante l’età, i doppi sensi, le allusioni, le derisioni indirizzate agli ignari passanti e mi divertivo molto più che a stare con i miei coetanei. Anche la Monica assorbiva come una spugna l’influenza di queste madri e già da piccola era considerata la reginetta petulante del condominio.
La più bella, la più ricca, la più perfida. E per questo l’ amavo.
Anche I giochi che si facevano non esistono più. Non se ne trovano tracce nel bagnasciuga di oggi.
Costruivamo piste con curve paraboliche e gallerie dove scorrevano biglie con le figure dei ciclisti e dei calciatori. Usavamo generalmente il culo della Chiara del primo piano, non quella del l’attico che era più grande di noi, per tracciare le piste, trascinandola per le game a modo di carriola inversa. Lei si arrabbiava ogni volta, ma in fondo era il culo che meglio si prestava per lo scopo, il più grosso ed il più consistente.
Poi c’erano i castelli di sabbia con tanto di ponte levatoio fatto con i bastoncini di legno dei ghiaccioli che si trovavano in spiaggia, abbelliti da guglie di sabbia colata che sfidavano la legge di gravità, decorati con conchiglie e coni di mare.
La caccia alle farfalle, le bianche un punto, le gialle tre punti. Questi erano i passatempi della spiaggia, interrotti dalla pausa merenda a base di pane e nutella spalmata con il misterioso SPALMAZEN, un coltello di plastica color nocciola a denti larghi che tracciava le righe dei campi giapponesi che all’epoca non sapevamo cosa fossero. Comunque una rarità. Introvabile.
La Nicoletta, la bimba dell’appartamento 32, fu la prima ad averlo, grazie ad un’amicizia “particolare” della madre con il panettiere. Solo molto più da adulti avremmo inteso che quell’aggettivo storpiato ed allungato nelle sue vocali dall’esercito del gruppo A stava a significare altro e non come pensavamo noi che erano vecchi compagni di scuola.
Comunque questo oggetto del mistero le costò avere per almeno una settimana tutta la tribù dei ragazzini a casa sua all’ora della merenda.
I bagni con il salvagente a ciambella, sostituito poi dai braccioli, le cuffie di plastica a fiori dai colori sgargianti che indossavano le mamme per non rovinare i capelli ed i prendisole che in realtà erano leggeri cappotti che impedivano ai raggi solari di abbronzare quelle pelli odoranti di cocco e bergamotto..
Ovviamente la Silvana aveva le mise da copertina, quelle che si vedevano poi fotografate nelle varie riviste di moda femminile. Ma l’oggetto del desiderio era una fantastica cuffia rosa shocking a grandi fiori di loto, con dei codini di capelli finti, rigorosamente biondo platino, che sbucavano lateralmente, come una lolita di quarant’anni hollywoodiana spiaggiata da chissà quale tempesta nella palude veneta.
Avrei ucciso per avere quella cuffia. La vorrei anche ora se riuscissi a trovarla, ma pare che nemmeno internet sia in grado di riproporre tale trionfo del kitch. La metterei sicuramente sopra il casco della moto e sfreccerei impavido lungo i viali di città. Probabilmente chi ne ha una non sa nemmeno il valore che potrebbe avere. Inestimabile! Altro che i diamanti che indossava.
A volte me la infilavo, quando con la Monica e la Silvia, giocavamo alle mamme e ci stendavamo in riva al mare con le sdraio a criticare i bambini degli altri condomini. Nessuna pietà. Superavamo in perfidia e cattiveria le maestre.
Nessun dubbio. Arguti si nasce e non lo si diventa. Ma questo non è il punto.
Monica, Silvia, Anna, Sabrina, Luisa, Chiara, Federica , Tiziana e Claudia erano le bimbe, mentre Marco, Gianni, Pietro e paolo, Walter, Marco 2,i fratelli svizzeri Eduardo e Max, i genovesi luciano e Mauro e Giampiero Alessandro e Pietro Massimo ed io eravamo i bimbi della mai fascia d’età, nel girone dei più grandi mio fratello Enrico, il primogenito della Silvana Feliciano, i Tiozzo, i Degan, la bellissima modella pelle di luna Gabriella, la Luciana, e qualche altro nome che ora non ricordo.
Tutti insieme si scendeva intorno alle 20.30 dopo mangiato e ci si radunava sull’androne del condominio.
Occupavamo tutta la scalinata di ben sei larghi e lunghi gradini e creavamo un brusio che gli abitanti dei primi piani spesso e volentieri ci tiravano le secchiate d’acqua dopo le 22.00 per farci andare a casa.
Vedevamo passare i genitori che si radunavano nella hall per le loro fuoriuscite. Donne eleganti in lungo con grandi scialli appoggiati alle spalle e uomini leccati con quell’accessorio che andava molto di moda e che li rendeva tutti un po’ finocchi : il borsello.
L’estate passava velocemente, da maggio a settembre il tempo di una canzone, ed ogni anno ce n’era una diversa-.Poi si ritornava alla scuola, al grigio inverno, ai raffreddori ed ai telefilm delle 19.20.I rami dell’amicizie estive, in inverno perdevano le foglie, ma restavano saldamente intrecciati. La primavera dopo avrebbero nuovamente germogliato e dato nuovi fiori e frutti. Alcuni forse si sarebbero spezzati formando probabili talee di nuove amicizie ibride.
Quella casa conteneva molte più cose dei pochi metri quadrati che ne limitavano la superficie. Erano mobili invisibili, decori evanescenti che non potendoli traslocare restavano appesi in quel luogo del quale non ne possedevo più le mura.
Non avrei mai più potuto guardare quell’edificio senza sentirne l’eco delle voci lungo il corso degli anni. Non avrei potuto ignorare le storie che trasudava e non avrei potuto continuare ad ascoltare l’evolvere di quelle che avrebbero continuato ad essere scritte in quella struttura.
Tutto questo non era stato conteggiato nell’atto di vendita. L’invisibile non appare,. Non è quantificabile, non ha un’unità di misura od un peso specifico che ti possa indurre a riflettere del suo valore. Lo scopri
quando lo vedi allontanarsi. Come un grande amore che si fa fatica a sopportare ma che quando ti abbandona senza un motivo ne subisci l’importanza della perdita.
Con questo io ho concluso e vi do appuntamento con la prossima tappa!
Non mancate!
Grazie mille, e per quanto riguarda la lettura digitale... ti consiglio di riprovare non con gli schermi retroilluminati ma con un buon e-reader che non stanca gli occhi :)
RispondiEliminaGrazie a te Marco!
EliminaCiao, ti ho taggata qui:
RispondiEliminahttp://fantasyfordreaming.blogspot.it/2015/10/i-love-books.html
Come si fa a partecipare a questi blogtour?.
Vengo a vedere!
EliminaDipende dalle regole, ma qui non ce ne sono di precise. Credo che i libri siano in offerta per tutti!